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Centro Pastorale Missionario della Diocesi di Roma / Testimonianze  / Cardinale Tagle: “Il frutto della missione è una più profonda comunione”.

Cardinale Tagle: “Il frutto della missione è una più profonda comunione”.

In onore del Cardinale Luis Antonio Tagle, nominato pochi giorni fa Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, pubblichiamo la sua testimonianza per la Veglia Missionaria Diocesana di Roma del 15 ottobre 2015.

« È un grande onore e un’immensa gioia per me partecipare a questa Veglia Missionaria Diocesana. Ringrazio in modo particolare il Cardinale Vicario Agostino Vallini e Sua Eccellenza Mons Matteo Maria Zuppi per avermi invitato. La Celebrazione di questa sera manifesta l’identità della Chiesa come comunione nella missione. La missione della Chiesa ad gentes nasce dalla comunione delle Chiese locali fra loro. Noi cristiani andiamo in terre dette “di missione”, perché amiamo tutti gli uomuni e con tutti vogliamo condividere il grande dono: Gesù e il suo Vangelo. Nella Chiesa universale il frutto della missione è una più profonda comunione. Persone di diverse nazioni e lingue diventano una sola famiglia in Dio. La mia presenza qui, questa sera, esprime l’unità profonda che lega la Chiesa di Roma alla Chiesa d’Asia, e in particolare alla Chiesa Filippina, dove molti missionari provenienti da Roma e da altre parti dell’Italia hanno servito e continuano a servire. Qui, a Roma, molti cattolici asiatici, e filippini specialmente, servono parrocchie, scuole, conventi e famiglie. Siamo la famiglia di Dio a motivo della fede e della missione. Siamo una Chiesa perché ci amiamo e serviamo a vicenda.

Come ben sapete, la Chiesa in Asia, che è il continente più popolato del mondo, rimane una piccola minoranza, un piccolo gregge. Come fanno i cristiani in Asia ad impegnarsi nella missione quando sono tanto pochi e, direi, quasi “invisibili”? Com’è il loro vissuto quotidiano e come vivono la loro fede in mezzo a persone di altre religioni, più antiche del Cristianesimo? Il modo principale di vivere la missione in Asia è attraverso il dialogo sincero e fraterno con i non cristiani e con le loro culture. Questo vuol dire in modo silenzioso, ma profondamente condiviso nel flusso ordinario della vita dei nostri vicini: con essi, infatti, condividiamo lotte, gioie, dolori e successi, rendendo così visibile lo spirito cristiano che ci anima. Ci rendiamo conto che cristiani e non cristiani hanno molte cose in comune: l’amore per la famiglia, la responsabilità e la preoccupazione per i figli, il desiderio di una vita dignitosa e pacifica, il dolore quando i propri cari si ammalano e molto altro. Siamo fratelli e sorelle nella nostra casa comune chiamata “esistenza umana”. I cristiani in Asia proclamano Gesù e il Suo Vangelo attraverso la compassione, la gentilezza, il sorriso, la carità e il servizio. Qui, in generale, i cristiani sono rispettati, liberi di praticare la fede e, in alcuni posti, sono almeno tollerati. Scuole e ospedali cattolici, centri Caritas per le vittime di calamità naturali, orfanotrofi e centri di accoglienza per i senza tetto delle diocesi e di ordini religiosi, servizi sociali dei movimenti laicali, tutte queste opere testimoniano l’amore di Gesù per i bambini, per i malati e per coloro che soffrono.

Anni fa, in Thailandia, ho visitato una scuola di proprietà di un ordine religioso. Dei suoi quasi 700 studenti meno di 20 erano cristiani. Ho chiesto al religioso responsabile della scuola se considerava un fallimento l’avere così pochi studenti cristiani. Egli mi rispose: “Noi educhiamo e ci prendiamo cura di tutti i bambini cristiani e non cristiani come se fossero nostri. Insegniamo e manifestiamo loro con i fatti che Gesù ama e accoglie tutti i bambini.”


Una volta ho incontrato in un ristorante una donna buddista cinese. Mi ha chiesto se fossi un prete. Sorpreso e meravigliato le ho rivolto la domanda: “Cosa ti ha fatto pensare che io sia un prete?”. La sua risposta è stata meravigliosa. Ha detto: “Io sono buddista, ma ho studiato in una scuola cattolica a Hong Kong. Per questo percepisco la presenza di un sacerdote o di un religioso. Devo molto alle Suore e alla Chiesa. È per questo che ho cura che tutti i miei figli e nipoti studino in scuole cattoliche in modo da poterne imparare la disciplina e acquisire valori cristiani. Rimango una buddista, ma custodisco come un tesoro gli ideali cristiani.” Fratelli e sorelle, immaginate una buddista promuovere l’educazione cattolica e gli ideali cristiani! Questo è un frutto della missione come dialogo di vita.

In Cambogia un prete mi ha detto che nella sua prima parrocchia c’era un solo cattolico. Proveniente dalle Filippine, dove in maggioranza le parrocchie sono grandi, gli ho chiesto: “Ti sei scoraggiato?”. Ha detto: “Niente affatto. Servo un solo parrocchiano fedelmente ed energicamente. Se una parrocchia ha 1 o 20 parrocchiani, poco conta: è una Chiesa viva che merita tutta la cura del proprio pastore”.

Purtroppo in alcune parti dell’Asia i cristiani non sono accettati. Essi sono perseguitati, a volte in modo subdolo, a volte più apertamente e in modo violento. Alcuni cristiani hanno lasciato i loro paesi per salvare le proprie famiglie, mentre altri hanno deciso di rimanere, ma nella loro sofferenza testimoniano la forte presenza dello Spirito Santo.

Un medico cattolico che in un paese in Asia, dove questo non era permesso, ha preparato una donna a ricevere il battesimo ed è stato arrestato per aver violato la legge del luogo. Dopo la sua liberazione ho avuto la possibilità di incontrarlo. Curioso di conoscere il suo stato d’animo gli ho chiesto: “Se qualcuno ti chiedesse ancora di essere preparato al battesimo, lo rifaresti? Rischieresti nuovamente la vita?”. Con un sorriso mi ha risposto: “Sarei felice di tornare nuovamente in prigione per Gesù e per la Sua Chiesa”.

Numerosi cristiani hanno anche lasciato la loro patria a causa della povertà, della mancanza di lavoro e di conflitti locali. Essi sono pronti a sopportare la croce della solitudine, dovuta alla separazione dalle loro famiglie, solo per garantire un futuro migliore ai propri figli. Qui a Roma ci sono molti lavoratori immigrati provenienti dall’Asia: io credo che essi hanno trovato non solo lavoro, ma anche una missione. I lavoratori filippini che emigrano sono i migliori missionari delle Filippine non solo qui a Roma, ma anche in molte altre parti del mondo. Ovunque vanno portano la variopinta cultura asiatica e la gioia della fede cristiana.

Una donna filippina, che lavora presso una famiglia italiana, una volta mi disse: “Ogni volta che do da mangiare ai due bambini dei quali mi prendo cura, mi domando: chissà chi nutre i miei figli nelle Filippine! A pensare a loro mi si spezza il cuore. Ma poi guardo questi due bellissimi bambini italiani e cerco di dare loro l’amore che io vorrei dare ai miei figli”. Questo non è solo un lavoro. Questa è vera missione. Roma ha la fortuna di avere molti missionari che come questa donna trasmettono la fede!

Noi in Asia ringraziamo Dio anche per una piccola parrocchia situata in una stanza nascosta che funge da cappella, per una scuola cattolica di meno di 20 studenti cristiani, sostenuta da alcune famiglie che vogliono impedire che la chiesa, per la quale i loro cari genitori hanno fatto sacrifici, vada in rovina. La Chiesa dell’Asia è viva nell’annunciare e celebrare il potere di Gesù. L’essere una piccola minoranza non deve impedirci di essere discepoli gioiosi e missionari di Gesù!

Concludo ricordando la visita pastorale di Papa Francesco ai tre paesi dell’Asia: Corea del Sud, Sri Lanka e le Filippine. Ho avuto modo di constatare, vedere con i miei occhi quanto il Papa abbia capito la situazione delle Chiese locali in Asia. Le sue visite pastorali rispecchiavano il modo missionario di procedere dell’Asia che è il dialogo attraverso incontri personali. Ha parlato di Gesù e del Vangelo in tutte le sue omelie e discorsi, ma ha anche mostrato il volto di Gesù nel sorridere ai giovani, nel consolare con l’abbraccio paterno un bambino di strada che ha chiesto il motivo per cui Dio permette la sofferenza dei bambini. Sospirava e soffriva mentre ascoltava i sopravvissuti ai tifoni e ai terremoti. Si è fermato per benedire e baciare bambini malati e persone anziane. Ė rimasto sotto la pioggia con la gente che, per vedere lui, ha atteso per 15 ore sotto l’acqua. Ha abbracciato non solo i cattolici, ma anche i non cattolici e i non cristiani. Ha pregato sulle tombe dei martiri che non hanno nome. Si vedeva chiaramente che il Papa capiva ciò che la missione in Asia è: parlare di Gesù e che, quando non si puó parlare, si deve rivelare Gesù nell’incontro di persone, attraverso modi umili, sinceri e umani. Alla fine, Papa Francesco ha detto che la fede della gente semplice che incontrava lo ha evangelizzato. Mi ha detto, “La Chiesa in Asia ha un futuro perché vi è energia, gioventù e molta sofferenza, sofferenza che rende le persone più forti nella fede e nella speranza”. Per favore pregate per le Chiese in Asia come noi preghiamo per voi. Ogni lode e gloria a Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo! » .

Luis Antonio G. Card. Tagle
Arcivescovo di Manila