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Centro Pastorale Missionario della Diocesi di Roma / Testimonianze  / “Desidero conoscere la missione”

“Desidero conoscere la missione”

di Silvia Manocchi

Quest’ anno il Centro Missionario Diocesano ha voluto coinvolgere i missionari della diocesi di Roma, Fidei donum, consacrati, laici e diaconi, per dar la possibilità a tutti di toccar con mano la realtà delle missioni oltreconfine e, attraverso viaggi e pellegrinaggi missionari, svelare il mistero che spesso avvolge l’idea di missione. Protagoniste del viaggio in Perù – una delle mete missionarie di quest’estate – tre donne romane, Silvia, Livia e Patrizia, che hanno condiviso a Lima l’esperienza di servizio in un collegio per bambine e ragazze orfane o con famiglie in difficoltà, in spagnolo Hogar de niñas, dove hanno vissuto per circa un mese. Al loro rientro, il 26 settembre scorso, in una delle sale del Pontificio Seminario Romano Maggiore si è svolto un incontro aperto a tutti, amici e parenti, ma anche studenti, sacerdoti e missionari, desiderosi di ascoltare e condividere i racconti di vita vissuta nella terra degli Incas, il Perù. Presiedeva il vescovo ausiliare incaricato per la cooperazione missionaria, monsignor Matteo Zuppi, che ha accolto tutti in un’atmosfera intima e cordiale, contento di questa iniziativa totalmente spontanea da parte chi ha vissuto il viaggio-missione in Perù : “Non importa se sia in Perù, nei nostri quartieri, nei paesi confinanti, ciò che fa “missione” è l’atteggiamento di uscita, sempre rivolto verso gli altri”, ha affermato il vescovo. Proprio in questa sede si è potuto conoscere e ascoltare la testimonianza di un grande sacerdote romano, don Gaspare Margottini, missionario in Perù da 30 anni, di cui gli ultimi 18 anni trascorsi a Huancayo, a 3500 metri sulla catena andina, dove è ormai punto di riferimento per gli abitanti della città e delle zone circostanti. Erano presenti anche Isabella, moglie del diacono Luigi Bencetti, che con il marito 13 anni fa ha iniziato la missione dei diaconi romani nella periferia di Lima (diocesi di Carabayllo), ed il diacono Giuseppe Colona, che ha condiviso 7 anni di questa missione e che svolge anche il servizio di accompagnare chi desideri conoscere e sperimentare la vita missionaria in Perù. L’incontro è iniziato dalla motivazione che ha spinto le tre romane a dedicare i loro giorni di ferie estive a questo viaggio. “Desidero conoscere le missioni – racconta con semplicità Silvia, la più giovane delle tre -, conoscere la realtà in cui vivono molte persone lontane da noi, ma nostri fratelli, instaurare legami. Ogni incontro è un arricchimento, ogni minuto passato al Hogar de niñas, un dono. Si parte senza pretesa, con grande umiltà.” Continua Livia, sottolineando il calore e la fratellanza con cui le suore, dell’ordine francescano di Maria Petkovich, e le bambine le hanno accolte, dimostrando così che ”l’accoglienza è molto più che mostrare il lato migliore di sé, ma è donare con gratuità”. Ciò che accomuna i racconti di tutte loro è la gioia trasmessa dalle bambine del Hogar nel condividere il proprio tempo con loro. “Sono bambine che vivono da sole fin da quando hanno 6 anni e ciò che colpisce il cuore è vedere questi corpicini docili e minuti pensare e comportarsi spesso come delle giovani donne, ma la fragilità del vivere senza punti di riferimento si palesa non appena si entra un po’ più in confidenza con loro – raccontano le missionarie -; vivono con delle emozioni e dei sentimenti a cui non sanno dare un nome, perché non c ‘è la famiglia che le aiuti a decodificarli.” Per questo è importante il ruolo della Chiesa e anche della Chiesa Missionaria, come risposta ad una forte mancanza d’identità. Vedendo tanta povertà, lamiere che sono le loro case costruite sul fango, e poi una bella chiesa in muratura può sorgere un iniziale scetticismo, ci confidano le tre amiche. Perché proprio una chiesa? – ci si domanda – ma è Livia poi a sottolineare l’immagine di questa “ chiesa nel deserto”, nel nulla, come unico punto di riferimento, di guida e di luce. Anche dopo la visita alla missione di don Gaspare, ci si rende conto dell’importanza che ha la Chiesa in quei villaggi e in quelle città. Raccontano le tre, di aver vissuto a Huancayo “un’esperienza molto forte sia umana che spirituale. Il dono più grande è aver conosciuto don Gaspare, che si definisce uno “Huanca importato”. Eppure in Perù racconta lui stesso di esserci finito quasi “per caso”. Nel 1984 conosce due vescovi peruviani a Roma e lo invitano ad andare a Lima per qualche anno. La situazione della periferia è molto complicata specialmente in quegli anni di guerra civile, ma rimane colpito dalla gente che viveva il vangelo con povertà e abbandono alla volontà di Dio e si rende conto di aver trovato ciò che cercava… “la parola di Dio siamo noi”, dice don Gaspare. Poi il trasferimento a Huancayo, sulle Ande e ricominciare da capo. Grande è oggi la missione di Don Gaspare specialmente per il progetto educativo che, grazie agli aiuti dei sindacati della Repubblica di San Marino, alla disponibilità dei peruviani e all’abbandono ai doni della Provvidenza, ha consentito l’apertura e la gestione dell’Accademia, una scuola di preparazione pre-universitaria completamente gratuita che permette ai giovani più poveri di entrare all’università. Dice don Gaspare: “Noi non siamo tanto importanti, è il Signore che si serve di noi attraverso il nostro agire e la preghiera. Dobbiamo essere niente per stare al vero posto nel progetto di Dio. Anche l’azione missionaria deve essere adesione al progetto di Dio”. In linea con questo pensiero, si aggiunge il commento di Isabella, moglie del diacono Luigi: “A 8 anni dalla morte di mio marito, sento la chiamata FORTE di tornare in Perù ogni anno, non potrei farne a meno”. Isabella conclude mettendo in evidenza la bellezza del camminare insieme ai poveri, aspetto fondamentale della sua missione che chiama scherzosamente “pastorale dei piedi”, ed esprime la sua commozione nel vedere la gioia delle tre romane, missionarie per un mese, nel dedicarsi ai poveri: “lasciano vedere la gioia, ma non il sacrificio”. A seguito di queste testimonianze, il vescovo esorta i giovani delle parrocchie a coinvolgere il Centro Missionario o l’Ufficio Migrantes nei loro progetti di catechesi- educazione e lancia un messaggio per tutti: “sognate, lasciatevi coinvolgere e coinvolgete tanti”.