Alienum phaedrum torquatos nec eu, vis detraxit periculis ex, nihil expetendis in mei. Mei an pericula euripidis, hinc partem.

Blog

Centro Pastorale Missionario della Diocesi di Roma / Dal mondo  / Don Boumis a Itacuruba, lezione di vita tra la gente

Don Boumis a Itacuruba, lezione di vita tra la gente

Quando chiedi a don Paolo Boumis – sacerdote fidei donum della diocesi di Roma, in Brasile da quasi due anni – di parlarti della sua esperienza missionaria, non può non raccontarti della sua gente di Itacuruba, piccolo comune della diocesi di Floresta, nel Nord-est del Paese. Quello di don Paolo, in Brasile, è un ritorno (avendovi già vissuto un periodo di missione precedentemente), però – confessa – «per certi versi ho dovuto ricominciare da capo, perché ogni realtà è diversa e perché non si finisce mai di crescere. Ma il bello della missione è questo: avere sempre le valigie pronte, possibilmente leggere, per seguire la chiamata di Dio». E così il sacerdote romano, una volta nominato parroco di Itacuruba, non ha perso tempo: ha iniziato a disegnare il futuro insieme alle lideranças, cioè ai responsabili dei vari ambiti di servizio in parrocchia; ha ripreso il cammino delle attività sospese; ha cominciato a visitare le tante comunità sperdute della zona. Come quella di Angico III, di cui racconta: «Ricordo che fu una delle prime realtà che volli andare a trovare, per celebrare la prima Messa della sua storia. Sapevo che c’erano problemi con l’acqua. Quando arrivai, trovai l’impianto idrico fatto. Lo ricordo come il primo miracolo da quando sono qui… La Messa che celebrammo fu una delle più belle della mia vita: traboccava la gioia sui volti della gente che per dieci anni aveva sofferto la sete, aspettando il camion dell’esercito per riempire le cisterne. E adesso aveva l’acqua corrente in casa! Sembra poco, ma l’Eucaristia, qui in Brasile, non parte dal cielo, comincia dalla terra…». Sono il contatto con la gente e l’inevitabile confronto a cui il missionario si trova costretto, a fare di ogni giorno un’occasione di crescita umana e spirituale. Oltre che un’opportunità per scoprire il cuore segreto del popolo di Itacuruba. «Qui – spiega don Boumis – i popoli indigeni sono ancora oggi strappati con la forza alla loro madre terra per scandalosi interessi economici; le persone afrodiscendenti continuano nel più profondo dell’anima a sentirsi lontani dalla madre Africa da cui i loro antenati, fino ad un secolo fa, venivano deportati nelle stive delle navi; i nordestini, cioè gli abitanti delle regioni più povere del Paese, a causa del sottosviluppo, della siccità e del pregiudizio delle regioni ricche del Sud, spesso devono partire in cerca di lavoro e dignità verso le grandi città. Ecco, Itacuruba è la somma di tutto questo». Così questa gente continua a sognare la terra promessa: gli anziani muoiono in esilio, con il cuore a pezzi; gli adulti, figli della generazione del trasferimento, vivono di psicofarmaci; i giovani vogliono solo andarsene altrove. Per chi arriva dall’Europa, inculturarsi è molto difficile. «Qualunque missionario – confessa don Paolo – deve apprendere, con dolori di parto, che generare una vera comunione con un popolo differente dal suo, è un’opera lunga e sofferta. Missione è spogliarsi senza snaturarsi. Diventare poveri e “spaziosi” per far sì che l’altro si senta a casa, ma allo stesso tempo, con umiltà, portare quello che si è. Apprendere ad ascoltare non il cervello, ma l’utero di un popolo, è un’opera che ti smonta la testa ma è l’unica strada per il Vangelo». E non fece così anche il Maestro? «La lezione di inculturazione di Gesù – conclude don Paolo – è l’unica vera scuola di missione. Io sono solo uno scolaretto che ogni giorno si presenta alle persone di Itacuruba con fiocco e grembiule, per cominciare ad apprendere la lezione della vita, perché l’esilio finisca e si possa tornare tutti insieme nella terra promessa».

Chiara Pellicci (Sir)

pubblicato da Roma Sette, domenica 16 ottobre 2016