Alienum phaedrum torquatos nec eu, vis detraxit periculis ex, nihil expetendis in mei. Mei an pericula euripidis, hinc partem.

Quello è il mio posto

Quello è il mio posto

Padre Ganni ucciso per aver obbedito a Dio, non agli uomini

Alle “Stimmate” l’incontro per ricordare il sacerdote iracheno. Don Rosini: «Nella Chiesa gli eroi parlano di sé, i martiri parlano di Dio» 

«Era un ragazzo solare, allegro ma non invadente. Nella preghiera riusciva davvero a incontrare Gesù». Monsignor Carmelo Pellegrino, biblista e promotore della Fede della Congregazione delle Cause dei Santi, ha raffigurato così padre Ragheed Ganni, ucciso a Mosul, in Iraq, il 3 giugno del 2007. Lo ha conosciuto al Collegio Irlandese, a Roma, dove ha studiato assieme a lui per due anni. E, nel decimo anniversario del martirio del sacerdote iracheno, Pellegrino lo ha ricordato pubblicamente in una conferenza dal titolo “Martiri dei nostri tempi”, che si è svolta ieri, giovedì 8 giugno, nella chiesa delle Santissime Stimmate di San Francesco.

Un incontro, organizzato dalla diocesi
di Roma in collaborazione con l’associazione Archè, la Fondazione Giovanni Paolo II, la parrocchia di Sant’Innocenzo Papa e l’associazione Finestra per il Medio Oriente, in cui è stata ripercorsa la vita del sacerdote iracheno non solo con le parole, ma anche con un video che ha presentato i momenti principali del suo sacerdozio, fino alla scelta di non chiudere la chiesa di Mosul, per la quale è stato ucciso dai terroristi.

«Quando ho letto la notizia della sua morte non ero del tutto sorpreso, mi sembrava che il Signore stesse consolidando in lui l’animo del pastore che dà la vita per il gregge», ha raccontato monsignor Pellegrino, che conserva nella sua memoria immagini di momenti di vita quotidiana di padre Ragheed, che era sopravvissuto all’esplosione di una bomba nel 2004: «Si univa al discorso qualunque lingua si parlasse – ha detto ai tanti che hanno partecipato all’incontro -. Quando entrava in refettorio e lui prendeva posto per primo, tutti gli si sedevano vicino. Era scherzoso, sportivo, studioso. Mi colpiva la sua preghiera molto personale. Ho l’impressione che si sia lasciato pervadere dalla grazia di Dio, che abbia sperimentato l’incontro con lui. Aveva scelto di tornare tra la sua gente perché sentiva che il suo posto sarebbe stato lì».

Il giorno della sua morte era stato
preceduto da una serie di minacce, che padre Ragheed Ganni aveva raccontato ai compagni di studi al Collegio Irlandese. «Rispondeva che non avrebbe potuto lasciare la comunità senza la Messa, lo disse anche al convegno eucaristico di Bari. Poi, fu ucciso per non essersi fermato. Ha imparato ad ascoltare Dio per obbedire a lui piuttosto che agli uomini e alle convenienze». Subito dopo, è intervenuto anche il rettore della chiesa delle Stimmate, don Fabio Rosini, che ha indicato il sacerdote iracheno come un modello per tutti, «perché la grazia non è mai data per un singolo ma per tutta la Chiesa. Nella sua vita si è realizzato qualcosa che solo la grazia può compiere».

Don Rosini ha messo, però,
in guardia dal rischio di confondere un martire con un eroe. «Sono due cose diverse – ha spiegato -. Noi pensiamo umanamente che abbiamo di fronte un eroe, cioè qualcuno capace di fare qualcosa di straordinario, ma così corriamo il pericolo di trasformare il cristianesimo in eroismo. Un martire non è un eroe, ma un testimone. Lo si riconosce se in lui opera la grazia. Nella Chiesa gli eroi creano problemi e spaccature, personalismi, perché parlano di sé. I martiri invece parlano di Cristo, portano la sua testimonianza. Il punto non è essere eccezionali, ma amare».

9 giugno 2017