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La preghiera per la pace, impegno a «disarmare i cuori»

Articolo di Lorena Lonardi da www.romasette.it

Il patriarca di Antiochia dei Siri: «Quello che accade ad Aleppo non dovrebbe accadere. Ma senza la compiacenza dei potenti d’Occidente la strage non sarebbe potuta continuare»

Ha ricordato la Messa celebrata domenica 12 aprile con Papa Francesco in ricordo del genocidio del popolo armeno, il patriarca di Antiochia dei Siri Ignace Youssef III Younan, iniziando la sua omelia di ieri, 15 aprile, nella chiesa parrocchiale di Santa Maria ai Monti in occasione della veglia di preghiera per la pace in Ucraina, in Siria e in tutti i Paesi tormentati da persecuzioni e guerra.

«Malgrado tutto – ha garantito – continueremo a rinnovare la nostra speranza in Gesù, che ci ha promesso di rimanere con noi fino alla fine. Non sappiamo quando la Via Crucis dei cristiani in Medio Oriente e in Ucraina avrà fine, ma sappiamo che in Siria da più di quattro anni i nostri fratelli agonizzano. E che In Iraq lo scorso giugno in più di 140mila hanno dovuto lasciare le loro case, le loro terre, e stanno come rifugiati nel nord del Paese, ma anche in Libano e Turchia. Quello che accade ad Aleppo non dovrebbe accadere: noi cristiani siamo in Medio Oriente da sempre. E siamo stati fedeli alla nostra fede a Gesù, per questo veniamo perseguitati». Se, da una parte, «ci sono quelli che perseguitano», dall’altra, ha evidenziato il patriarca, «ci sono pure i potenti: la strage non sarebbe potuta continuare senza la compiacenza dei potenti dell’Occidente. Dobbiamo – ha invitato – alzare la voce contro coloro che fanno i prepotenti e ci hanno detto bugie. Basta inviare armi ai cosiddetti rivoluzionari: essi sono l’Isis. L’Isis non è il nome di un profumo da donna: è, ormai si sa, un gruppo terroristico dello Stato islamico che vuole imporre la sua legge con la violenza, senza riconoscere la libertà degli altri. Quindi basta».

Sulla sensazione di “abbandono” si è soffermato, nel corso della liturgia mariana organizzata dalle comunità romane ucraine di rito bizantino e siro-antiochene, Boutros Marayati, vescovo di Aleppo, «città martire dove la gente vive sotto le bombe che cadono dal cielo proprio sul quartiere cristiano. Tutti siamo scappati, cento anni fa, per arrivare qui e ora la storia si ripete: dobbiamo lasciare Aleppo. Ci sentiamo abbandonati, come Gesù nel giardino del Getsmani. E come Cristo sulla croce abbiamo sete della pace, siamo stanchi». La situazione, ha riferito il vescovo, «sta peggiorando, e se come cristiani di Aleppo abbiamo perso la fiducia negli uomini che hanno potere e responsabilità, non abbiamo perso la speranza in Dio. Poiché Cristo ha detto “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”, noi andiamo avanti, uniti per pregare e credere che possa arrivare la pace per tornare a vivere insieme, come era prima. Cristo ci aiuterà a passare dalla morte alla vita, dalle tenebre alla luce».

Nel corso della liturgia, animata da canti, è stato implorato il dono della pace in Siria, Iraq, Terra Santa, Libia, Yemen, Nigeria, Sud-Sudan, Kenya, Congo, Ucraina e in tutti i Paesi martoriati da conflitti e violenza. Un pensiero è stato dedicato affinché vengano liberati il vescovo siro ortodosso Johanna Ibrahim e quello greco ortodosso Bulos Yazjil, il sacerdote armeno cattolico padre Michel Kaial, il greco ortodosso Isaac Mahfouz e il gesuita romano padre Paolo Dall’Oglio. In modo particolare è stato Matteo Zuppi, vescovo incaricato del Centro per la cooperazione missionaria tra le Chiese e ausiliare per il settore Centro della diocesi, a ricordare «le persone sequestrate, i pastori, i martiri e gli artefici di pace», insieme all’impegno «a disarmare i cuori, perché la pace non viene così, ma si costruisce». In alternativa, rimaniamo «tutti schiavi del pensiero di Caino, dal momento che ogni guerra è fratricida. La pace ha bisogno di un personale sforzo, di essere difesa dalle tante minacce. La pace richiede fretta, perché la sofferenza è sempre inaccettabile. Senza l’ossigeno della pace l’uomo non può vivere, diventa come Caino, che fugge da se stesso. Il Signore sia con voi – ha concluso – per guardare con speranza al futuro».

16 aprile 2015