Alienum phaedrum torquatos nec eu, vis detraxit periculis ex, nihil expetendis in mei. Mei an pericula euripidis, hinc partem.

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Centro Pastorale Missionario della Diocesi di Roma / Dal mondo  / vescovo a Mogadiscio con i registri nel cielo

vescovo a Mogadiscio con i registri nel cielo

Monsignor Giorgio Bertin, francescano, è il vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio. Di passaggio a Roma, ha pensato di salutare anche noi del Centro Missionario, insieme a suor Michela, religiosa guanelliana, impegnata in un progetto di inserimento scolastico per bambini disabili e formazione degli insegnanti a Gibuti.

La visita è stata anche l’occasione per raccogliere da monsignor Bertin alcune preziose notizie e riflessioni, sulla società somala, la Chiesa e i martiri della Somalia. Riportiamo semplicemente qui di seguito le sue parole per condividerle con i nostri amici. Il vescovo vive tra Gibuti e la Somalia, ma mentre a Gibuti le condizioni socio politiche sono tranquille, “a Mogadiscio – dice monsignor Bertin -, dove eravamo più presenti, purtroppo la situazione di sicurezza è impossibile; allora io mi limito, vado là, senza nessun segno religioso, incontro i cosiddetti ‹ministri› perché stanno rinascendo un po’ le istituzioni statali, ma non hanno ancora un vero potere, e collaboro soprattutto con alcune organizzazioni somale del posto. Questo per dire che abbiamo delle possibilità per lavorare. Quando mi dicono: ‹non si può fare niente…›. Io rispondo : ‹No, ci sono sempre delle possibilità› e noi ci possiamo inserire bene, basta avere intelligenza, perseveranza e umiltà. Bisogna avere umiltà anche nella carità; ho sempre detto: ‹non facciamo la carità che schiaccia›, ma la carità umile in modo che loro non si sentano aggrediti in nome della carità o dell’amore, ma piuttosto vedano che noi siamo disponibili; abbiamo alcune possibilità, abbiamo soprattutto delle risposte umane molto valide, e queste noi le possiamo condividere. Attraverso queste cose poi passa il messaggio cristiano.

Ci sono i segni della presenza cristiana, sia a Gibuti, sia in Somalia. In Somalia forse ora è stata un po’ nascosta, ma c’è, perché le prime scuole, i primi posti di sanità li abbiamo aperti noi cristiani, noi missionari. Quindi c’è questa lunga tradizione e quelli che ci hanno conosciuto, che sono venuti in contatto con noi, è chiaro che hanno una forte stima e apprezzamento. Questo avviene soprattutto a Gibuti, ma sarebbe la stessa cosa in Somalia, solo che in Somalia manca lo Stato e allora questi gruppuscoli settari fondamentalisti, integralisti, manipolano e danno l’impressione che ci sia una fortissima ostilità nei nostri confronti, ma questo non è vero: i somali conoscono da un secolo e mezzo l’azione che i missionari hanno portato avanti in Somalia. Io ricordo ancora quando in Somalia entravo con il mio abito francescano e prendevo l’autobus: si alzavano subito per cedermi il posto e non dico adesso che sono diventato un po’ più vecchio, ma già 40 anni fa, quando ero imberbe, se si può dire così. Ecco, allora c’era questa profonda stima e profonda amicizia. Adesso un po’ le influenze straniere, un po’ la mancanza dello Stato hanno reso più fragile la società e fanno sì che questi gruppuscoli diano un’impressione erronea. Quando mi dicono: ‹C’è la persecuzione in Somalia›. Io dico: ‹No, attenzione›, persecuzione per me vuoi dire che lo Stato, l’autorità è contro i cristiani. Lì manca l’autorità, ma sono queste cellule impazzite che hanno tutto l’interesse di creare, di seminare odio, di seminare discriminazione, ma noi non dobbiamo lasciarci sviare da questi e considerare tutta la popolazione, tutti i musulmani come se fossero tutti terroristi. No, se facessimo una cosa del genere faremmo il loro gioco. Loro hanno ucciso sì qualcuno di noi e dei loro ne hanno uccisi 100 in più, musulmani, somali. Bisogna avere una visione concreta e realista della situazione, ma in tutto questo si possono sempre trovare dei canali, dei mezzi attraverso cui noi possiamo manifestare la nostra presenza.

Penso spesso alla parabola del seminatore, che getta il seme ovunque. E’ inutile lamentarsi perché i registri dei battesimi sono quasi vuoti, bisognerebbe vedere i registri del Cielo, bisognerebbe quanti nomi ci sono scritti su quelli! Sono sicuro che la semina del Vangelo porta tantissimi frutti nei cuori delle persone, che noi non siamo in grado di quantificare qui sulla terra.

Il 9 luglio è l’anniversario dell’uccisione di monsignor Salvatore Colombo, mio predecessore (ucciso a Mogadiscio il 9 luglio 1989, ndr). È mio dovere, divenuta poi tradizione, celebrare la Messa per lui. Negli ultimi 5-6 anni ho pensato di ricordare insieme anche gli altri e così chiamo quel giorno ‹la giornata dei martiri della Somalia› e qui intendo certamente i nostri cattolici, ma ci sono stati anche dei martiri protestanti, ci sono stati dei musulmani e persino persone apparentemente senza fede che sono state uccise mentre servivano i poveri, mentre servivano la giustizia, lavoravano a favore della libertà. Quindi la chiamo ‹la giornata dei martiri della Somalia›. Tra loro noi abbiamo dei nomi illustri, come Annalena Tonellli, Graziella Fumagalli, il mio confratello padre Pietro Turati, la crocerossina Maria Cristina Luinetti (uccisa a 24 anni nel 1993, ndr), Sean, un irlandese che ha lasciato la vita là, è stato ucciso mentre lavorava come volontario per l’UNICEF (il giovane irlandese Sean Devereux, 28 anni, è stato ucciso a Chisimaio, località di mare situata 400 chilometri a sud di Mogadiscio, il 2 gennaio 1993, ndr), suor Leonella Sgorbati. Dunque abbiamo veramente una serie di persone che sono state di esempio per il loro impegno serio.

Annalena era davvero outstanding – come si dice in inglese – per la lucidità di decisione, la capacità inventiva che aveva e l’hanno uccisa nel 2003. Io andavo lì dove era lei 2 o 3 volte all’anno almeno, celebravo la Messa per lei, poi lei conservava l’Eucaristia. Il mio predecessore le aveva dato la facoltà di conservare l’Eucarestia, in modo che avesse la possibilità di fare l’adorazione. Tanto è vero che quando c’è stato il congresso eucaristico a Bari mi hanno chiesto un intervento su ‹Annalena e Eucarestia›, ma io ho cambiato un po’ il titolo in: ‹Eucarestia e la nostra presenza in luoghi difficili› e allora ho ripercorso un po’ il percorso di Annalena. Tutto ciò per invitare a guardate questa presenza significativa di persone che sì hanno lasciato la vita, ma anche un esempio che rimane. I somali stessi chiamavano Annalena ‹la nostra Madre Teresa di Calcutta›.

Vorrei aggiungere una frase di Graziella Fumagalli, direttrice del programma contro la tubercolosi della Caritas Italiana, proseguendo il progetto iniziato a Merca da Annalena. Graziella era ambrosiana. Nel rito ambrosiano quando si congeda l’assemblea al termine della Messa c’è solo la formula ‹nel nome di Cristo andate in pace›. Io, da romano, cambiavo spesso tra le diverse formule che ci sono nel rito latino, tra le quali c’è quella che dice :‹Glorificate il Signore con la vostra vita, andate in pace›. Allora andando là a Merca, celebravo la Messa e cambiavo le diverse formule, tanto per non ripetermi, e lei una volta mi disse, ‹A me piace quella formula lì, usa questa› e io me ne sono sempre ricordato e quando dico ‹Glorificate il Signore con la vostra vita, andate in pace› penso a lei, perché lei amava questa, si era identificata veramente con questa”.

Roma, 18/07/2016