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Centro Pastorale Missionario della Diocesi di Roma / Dal mondo  / LETTERA DA FLORESTA-GIUGNO 2015

LETTERA DA FLORESTA-GIUGNO 2015

Carissimi amici e amiche,

alla vigilia del mio viaggio in Italia, per visitare la mia famiglia e riposare un po’, torno a scrivervi, per condividere con voi tutti, le gioie e le preoccupazioni che sono il pane quotidiano della missione.

Qui in Itacuruba abbiamo iniziato a vedere le prime difficoltà pastorali, dopo i primi mesi di entusiasmo generale. C’era da aspettarselo, ovviamente. Catechisti che abbandonano la loro responsabilità senza preavviso, animatori delle comunità che si allontanano dalla chiesa dopo una discussione banale intorno all’uso di 100 reais (28 euro) che andavano spesi per fare un contratto di luce della cappellina e invece qualcuno voleva usare diversamente… Abbiamo avuto anche resistenze abbastanza forti nel mondo giovanile, nonostante gli sforzi di aprire spazi di ascolto e dialogo. Un gruppo stenta a decollare e tutto si rallenta. Credo sia normale, soprattutto considerando gli anni in cui questa parrocchia ha vissuto senza alcun progetto, senza passione missionaria e semplicemente abbandonata alla buona volontà di qualcuno. Anche le persone più vicine, alle volte resistono ai miei tentativi di dare un volto più dinamico alla comunità, preoccupati che possa fare cose troppo impegnative. Imparare il dialogo, per poter crescere insieme, è un’arte difficile, ma sto tentando di ascoltare di più e frenare la mia natura impetuosa, che alle volte prende il sopravvento…. Anche questo fa parte dello “spogliarsi” per entrare nel cuore del popolo di Dio.

Ma, grazie a Dio, posso e devo raccontarvi di due cose belle, che hanno segnato questo mese in modo particolare. Una messa, nel villaggio di Poço do Boi, 10 famiglie e molte capre: la calma della sera, l’ascolto semplice della gente, la condivisione di un piccolo momento di festa con un secchio infinito di banane e dolci preparati dalle mamme. Il tutto nell’ora che volge al disio e ai naviganti intenerisce il core, cioè le 17,30, che in Brasile sono le ore in cui l’aria si ripulisce, il silenzio del Sertão ti avvolge, il vento fresco arriva e la saudade ti invade l’anima. Una pace inaspettata e attesa da tempo, nel volto sereno di quella gente semplice, in cui le parole del Vangelo, del granello di senapa che diventa un grande albero, mi hanno fatto pensare che loro sono quegli uccellini che finalmente hanno trovato rifugio fra i rami….

E poi la festa del Corpus Domini, vissuta in parrocchia: dopo la messa, con la chiesa abbastanza piena, abbiamo portato Gesù per le strade, visitando le case dei più poveri. Ogni famiglia che avesse una persona anziana o malata, aveva preparato sul marciapiede un piccolo altarino (spesso strapieno di statue di santi, come si usa qui), per ricevere la benedizione. Questa camminata, che è durata quasi due ore, al buio e fra i ciottoli delle strade della periferia, non è stata ammantata di solennità, ma di partecipazione. La gente ha camminato attorno a me, che portavo il Santissimo, senza distanze, senza file ordinate ma semplicemente insieme. Abbiamo camminato insieme. E Gesù inciampava nei sassi come loro, camminava al buio come loro, tra le preghiere di molti e l’indifferenza assoluta di altri che semplicemente osservavano dalla finestra o continuavano a giocare a carte davanti alla birra. Qui non c’è molto spazio per baldacchini e incensi, perché, tra l’altro sono sempre stato un disastro nell’organizzazione dei chierichetti, ma c’è spazio per un popolo vivo che ama e crede.

Arrivati alla casa di Tia Bela, una nonna tenerissima di 92 anni, abbiamo fatto la sosta, dato la benedizione con l’ostensorio e pregato con lei. Ma tra noi e lei c’era la distanza dell’età. Tia Bela non poteva scendere in strada. Stavamo per riprendere il cammino, quando Tia Bela ha gridato: “Aspettate, io voglio vederlo da vicino!”, e mi ha costretto a tornare indietro per entrare in casa. Arrivato davanti a Tia Bela, lei ha preso con forza le mie mani, ha baciato l’ostensorio e poi, come un nuovo segno di Dio, mi ha baciato la fronte. Quel gesto che aveva ricevuto da Dio già all’inizio del mio cammino qui a Itacuruba, da parte di un’adolescente in lacrime, quel bacio in fronte che nella mia intera vita avevo ricevuto solo da mia mamma, quando la sera quando mi metteva a letto dicendo: “Dio ti benedica”.

Tia Bela, nel suo desiderio di vedere Gesù da vicino, mi ha confermato che questa è la mia benedizione, quella che ricevo dai poveri. Il loro desiderio di vedere Gesù da vicino e il bacio in fronte sono il vero cammino della mia missione. Se mostrerò loro, sempre più, Gesù da vicino, non mancherà mai un bacio sulla fronte che mi dica di nuovo: “Dio ti benedica”.

A presto.

Don Paolo