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Centro Pastorale Missionario della Diocesi di Roma / Dal mondo  / LETTERA DA FLORESTA Pasqua 2016

LETTERA DA FLORESTA Pasqua 2016

Don Paolo Boumis ci scrive dal Brasile:

Miei carissimi amici, nella piena gioia della Pasqua che continua, in attesa della Pentecoste, torno a scrivervi, come molti di voi mi hanno chiesto di fare. Credo che questo nostro appuntamento sia davvero prezioso, se puó aiutarci a vivere e sentire insieme la missione.

…stasera, nel silenzio riposante delle notti di Itacuruba, con il vento del Sertão che accarezza e allevia il calore violento del giorno, ripenso con gioia alla celebrazione della Settimana Santa che ho vissuto qui con la mia piccola gente. Spero che pian piano, attraverso di queste lettere, e magari con qualche viaggio, diventi un poco anche la vostra piccola gente…

La memoria piú viva che ho di questa Pasqua è stata la visita ai tanti anziani e malati della nostra parrocchia, per portare l’Eucaristia, la misericordia e la benedizione del Signore risorto.

Abbiamo incontrato tante persone: alcune centenarie (il Brasile è uno dei paesi con il maggior numero di persone oltre i cento anni), piene di vita e di fede e altre persone, al contrario, che sembravano altrettanto anziane, ma che invece sono ancora giovani, ma bruciate e consumate dal sole, dal lavoro duro dei campi, da una vita intera a lottare contro la siccitá per tirare su il pane quotidiano.

La sera del Giovedí Santo abbiamo lavato i piedi proprio a loro: uomini e donne anziani e malati. L’immagine piú forte che porto con me di quella Messa solenne, sono stati i piedi dei poveri. Piedi callosi, ruvidi, induriti, deformati da migliaia di chilometri fatti nella vita, perché nessuno di loro è mai salito su un’automobile. Piedi benedetti dalla terra che hanno calpestato e lavorato per anni, piedi che ricordano storie di migrazione, di fuga dalla mancanza d’acqua, di strade senza asfalto e di speranza lungo il cammino della vita. Piedi che parlano di figli lontani, fuggiti per cercare lavoro e aiutare chi a questa terra secca, nonostante tutto, non vuole rinunciare. Piedi che sono stati tante volte feriti dalle spine terribili delle piante della caatinga, ma anche piedi, peró, che come Maria sotto la croce, hanno sostenuto madri e padri nel giorno della morte violenta dei figli.

In ogni casa, accolti con l’allegria e l’abbraccio che mi hanno fatto innamorare da vent’anni di questo popolo, abbiamo ascoltato le storie di tanti che hanno dovuto sopportare lo strazio della morte dei giovani, per l’alcool, la droga e la terribile violenza che uccide ogni giorno, in Brasile, duecento persone, la maggior parte prima dei 30 anni…

Su quei piedi stanchi e duri, bellissimi e sacri, abbiamo versato l’acqua del servizio e dell’amore. Li abbiamo asciugati con la delicatezza con cui si trattano le cose uniche e preziose, ereditá di famiglie antiche, che nei loro vecchi conservano la vera memoria di ció per cui vale la pena di vivere. Li abbiamo baciati con il cuore a mille per la tenerezza di un Dio che si è fatto di nuovo carezza per i piú poveri fra noi.

Li abbiamo guardati con rispetto e un poco di vergogna, perché noi, fortunati abitanti della parte superiore del globo, certi piedi cosí… non li avremo mai. Non solo perché possiamo curarli come fossero bambini, con creme, smalti e prodotti costosissimi, ma soprattutto perché i piedi per terra non li abbiamo piú messi da molti anni. Ci siamo scordati cosa significa toccare la terra, la madre di tutti noi, da cui tutti nasciamo e al cui abbraccio tutti torneremo. Abbiamo preferito la vita virtuale, artificiale, costruita in laboratorio. La nostra terra la stiamo sporcando, usando, sfuttando come una prostituta da usare per il nostro piacere e poi buttare via come uno straccio. Ci siamo allontanati dal suo seno che nutre, dal suo calore, dal suo odore di festa e vita quando piove dopo anni, e ci siamo allontanati dalla terra della concretezza e della vita vera. Abbiamo fatto di Dio un teorema, un’idea che non c’entra piú nulla con noi, con il nostro corpo, con il nostro sudore. Abbiamo staccato i piedi da terra per non sporcarci di fango, ma cosí ci siamo anche staccati gli uni dagli altri. Non ci siamo piú ricordati delle parole di Gesú a Pietro che non voleva che Cristo quei piedi li toccasse per lavarli.

Abbiamo pensato che era meglio rinunciare proprio a camminare, per mantenere i nostri piedini belli e morbidi.

Vi prego, amici miei, torniamo con i piedi per terra.

Solo per terra possiamo trovare Gesú, il risorto, il nostro maestro vivo e vero, l’Uomo di Nazareth che sempre è andato a piedi, per le strade dell’annuncio.

Un piccolo ricordo, sacramento vivo di quanto vi racconto: tra i tanti anziani e malati che Gesú ha abbracciato attraverso di noi, c’è anche Antonio. Un uomo di sessant’anni, disabile da sempre, che vive proprio per terra, sul suo materassino, sorridendo meglio di chiunque di noi, senza nemmeno i denti, alla vita che Dio gli dona. Portandogli l’Eucaristia, non me la sono sentita di restare in piedi. Sarebbe stato scortese guardare gli occhi di Antonio dall’alto in basso… Gesú non avrebbe fatto cosí… Allora mi sono seduto per terra con lui, e tra un sorriso e l’altro, tra le sue risposte “liturgiche” stentate e sdentate, abbiamo celebrato l’incontro di Cristo con uno dei suoi fratelli piú piccoli. Seduti insieme sulla stessa terra….

E allora cosí sia, per sempre, sulla terra, sulla nostra terra, insieme a loro.

Un grande abbraccio.

Don Paolo