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Centro Pastorale Missionario della Diocesi di Roma / Testimonianze  / Lettera di fine d’anno dalla Giordania

Lettera di fine d’anno dalla Giordania

Carissimi, dopo il Buon Natale eccoci ora al Buon Anno!

Alla fine di quest’anno ringrazio il Signore per le tante grazie e tanta bontà, ma anche per la salute che ancora mi dà: ho compiuto i 70 anni e sto bene, a parte indebolimento all’udito e alla vista… ormai ogni giorno della mia vita è in più. Ringrazio il Signore per la ricchezza di esperienze in quest’anno 2014 che sta finendo e che non tornerà, se non nel giorno del giudizio sulla famosa bilancia che speriamo penda dal lato giusto per la grazia e misericordia di Colui che ci ha amato fino a morire. Ringrazio ancora quanti di voi siete venuti a trovarmi e vivere giorni meravigliosi e indimenticabili in questi luoghi unici. Tra qualche giorno avrò altri 50 fratelli e a breve un altro gruppo che visiteranno anche la mia parrocchia: vi attendo e vi auguro un santo viaggio.

Quest’anno abbiamo avuto la visita del Papa, l’evento più gioioso per tutta la Giordania. Per Natale poi qui al sud abbiamo avuto anche la visita del re di Giordania, che ha voluto fare gli auguri di Natale ai cristiani di questa zona del regno. Ad incontrarlo siamo stati invitati i 3 sacerdoti latini del sud ma anche quelli di rito bizantino cattolici e ortodossi oltre che i vescovi di Amman e vari ministri. Inoltre i notabili e capi delle tribù del sud, i personaggi di rilievo anche musulmani. I discorsi dei capi musulmani, in questi tempi di pressione ISIS e fanatici dai territori vicini e pericoli all’interno, sono stati conformi al pensiero del re, cioè l’augurio di pace e armonia con tutte le componenti civili, e soprattutto con i cristiani che precedono i musulmani e sono cittadini a pieno diritto e amati e stimati da tutti. È stato affermato che i musulmani devono molto alla presenza cristiana. Dopo ho potuto salutare il re Abdallah II e, mentre tutti cercavano di fargli i complimenti e le lodi, gli ho detto: “coraggio: hai una bella responsabilità, ma preghiamo per te e il Signore ti dia forza e discernimento per governare con sapienza”. Poi ho salutato il giovane erede al trono, principe Hussein ancora molto giovane e tutto serio, e gli ho detto: “faccio gli auguri anche a te e cerca anche di sorridere un po’”. Mi ha subito accontentato! Alla fine il re ha mangiato con noi, ma alla maniera tribale, in piedi davanti a enormi vassoi di “mansaf” (a base di riso con un tipo di quagliato e carne) ognuno servendosi al vassoio con un cucchiaio, mentre in genere qui lo mangiano con le mani.

Come pensiero da lasciarvi all’inizio dell’anno nuovo voglio ricordare il significato che danno gli Ebrei al “Rosh-ha-shana”, anche se il loro anno inizia verso settembre. Questo perché mi colpisce la ricchezza di significati in questa loro celebrazione. Essi a capodanno celebrano la gioia per la creazione: è il compleanno del mondo. Si legge il libro della Genesi, il racconto della creazione e si benedice Dio per tutto ciò che ha fatto e perché tutto “era buono”. Ricordano anche il “giorno del giudizio” (yom ha-din) e dell’esame della vita: Dio creatore e giudice scrive nel libro della vita e tutto viene conservato. Ed è Lui che decide chi deve morire o vivere nel nuovo anno, chi avrà una proroga e chi verrà chiamato a giudizio. Saranno svelati i peccati che non sono stati perdonati. Ma se uno in vita si esamina e si pente Egli accetterà il perdono e farà vivere. Il saluto di questo giorno è particolarmente espressivo: “che tu sia iscritto per un anno buono”, oppure “Buona Sentenza!”. Perciò si suona lo shofar (yom ha-teruah = suono) come segno di conversione e per mettere in fuga Satana all’arrivo del Messia. (Si dice che esso, questo corno di ariete, si suona come chiamata a conversione ricordando il sacrificio di Isacco, e che abbia suonato per la creazione, per la rivelazione sul Sinai, e suonerà ancora alla venuta del Messia). Esso ricorda a tutti l’obbedienza di Abramo e il giudizio di Dio. A cena non si mangiano le lenticchie, ma bietole, finocchi, datteri e zucca, tutti con significati teologici di liberazione dai nemici e dai peccati. Il melograno, per es., perché contiene i 613 mitzvot (i precetti prescritti nel Talmud per ogni ebreo).

La festa dura 2 giorni, iniziando il 1° giorno del 7° mese. Dopo iniziano 10 giorni di penitenza: il 10° è il Kippur (l’Espiazione). Davanti a un fiume o al mare si gettano delle pietre e si dice: “tu getterai in fondo al mare tutti i nostri peccati, dove non saranno più ricordati, dove non si vedranno mai più”.

Come sapete quasi tutte le feste cristiane hanno assunto le feste ebraiche. Peccato che la Chiesa non abbia assunto questa liturgia della creazione dove “tutto è buono”. Ci ricorda di non rovinare il creato: Dio ama tutto ciò che esiste, anche me finché esisto. Con questa festa ogni cosa creata diviene luogo di benedizione. Bisognerebbe, oltre che celebrare la “domenica”, non perdere il “sabato”. La “nuova creazione” non è al posto della prima, ma al suo servizio. Il Vangelo è la salvezza della creazione.

Vi auguro dunque una festa familiare gioiosa, ma anche un momento di silenzio oltre che di preghiera, e un buon esame di coscienza. Qualunque siano i peccati e mancanze che troveremo, il Signore ci dà di iniziare un nuovo anno di grazia. Gettiamo tutto dietro le spalle (o meglio sulle spalle di Gesù) e iniziamo un nuovo anno di grazia.

Ti benedica il Signore e ti custodisca.
Il Signore faccia risplendere per te il suo volto
e ti faccia grazia.
Il Signore rivolga a te il suo volto
e ti conceda pace”.

 don Vito

Smakieh 31\12\2014