Alienum phaedrum torquatos nec eu, vis detraxit periculis ex, nihil expetendis in mei. Mei an pericula euripidis, hinc partem.

Sogno di tornare a Kabul

Pubblichiamo la traccia della testimonianza di suor Shahnaz Bhatti, rientrata da pochi mesi dall’Afghanistan, alla Veglia Missionaria Diocesana di Roma, che si è svolta il 21 ottobre 2021 presso la cattedrale di San Giovanni in Laterano.

Mi chiamo Suor Shahnaz Bhatti, appartengo alla Congregazione delle suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret.

Sono in Italia dal 25 agosto 2021 quando sono riuscita a partire da Kabul, con l’ultimo volo possibile organizzato dal governo italiano.

A Kabul lavoravo con l’associazione “Pro Bambini di Kabul (Pbk)”, in una comunità internazionale ed intercongregazionale.

L’Associazione è nata nel 2001 (20 anni fa) per rispondere all’appello di Papa Giovanni Paolo II: «Salvate i bambini di Kabul», al quale ha risposto con generosità la vita religiosa in Italia attraverso l’USMI (Unione Superiori Maggiori d’Italia).

La nostra Congregazione ha aderito all’appello che l’Associazione ha fatto tramite il presidente Padre Matteo Sanavio, dei Rogazionisti, per dare continuità alla scuola “Pro bambini di Kabul”.

Al mio arrivo eravamo tre suore di tre congregazioni diverse: sr. Teresia Crasta, di origine indiana, della congregazione di Maria Bambina, sr. Irene di origine africana missionaria della Consolata ed io, di origine pakistana e della Congregazione delle Suore della Carità (bella intercongregazionalità, cittadine del mondo!).

Nell’ultimo anno siamo rimaste in due: Sr Teresia ed io.

Dovete sapere che la scuola voluta da Giovanni Paolo II e condotta dall’Associazione attraverso le suore e la collaborazione di altre insegnanti locali era frequentata da circa 60 bambini con ritardo mentale e il nostro compito, attraverso un traning di esperti, era quello di renderli abili a frequentare scuole normali e soprattutto di farli crescere sereni, perciò aiutavamo anche le loro famiglie molto povere.

Dopo qualche giorno dalla caduta di Kabul sr. Teresia con due padri Gesuiti sono riusciti a tornare in India. Io invece sono partita con uno degli ultimi voli di evacuazione organizzato dal governo italiano, dopo il quale sono avvenute le grandi esplosioni che sicuramente avete visto dai telegiornali, per questo posso raccontarvi, come testimone, gli ultimi giorni drammatici della grande fuga e la grande sofferenza di questo popolo presso lo scalo della capitale.

Tutti eravamo nel panico. Anche io lo ero, tuttavia ho scelto con l’accordo della mia madre generale, di rimanere con p. Giovanni Scalese, padre Barnabita, responsabile dei cattolici in Afganistan, e con le quattro Missionarie della Carità di Madre Teresa ed i loro 14 assistiti disabili, temendo ad ogni momento una retata.

Le suore di madre Teresa che avevano raccolto, a suo tempo, questi disabili dalla strada, allora bambini, non li avrebbero mai lasciati perché senza famiglia. Avevano perciò deciso di rimanere con loro.

Invece i bambini che frequentavano il Centro PBK, avendo la famiglia, sono fuggiti con i genitori.

In Afganistan non c’è la Chiesa cattolica e non ci sono cattolici e noi suore, che lavoravamo in istituzioni umanitarie, potevamo andare per l’Eucaristia solo presso l’Ambasciata italiana dove c’era una cappella. Sono proibiti segni religiosi, abiti religiosi e qualsiasi forma di evangelizzazione, che loro chiamano proselitismo. Il nostro Dio non può mai essere nominato.

Subito dopo la caduta di Kabul, le nostre congregazioni si sono adoperate per il nostro rientro. La violenza che avete visto nei telegiornali era anche alle nostre porte.

Sentivamo il frastuono … Fortunatamente non ci hanno fatto del male. Nonostante la paura, io non ho mai pensato di andar via da sola, pur avendo avuto tante occasioni, senza il resto della piccola comunità cristiana. Pensavo: «O moriremo o ci salveremo, saremo tutti insieme per la grande gloria di Dio». E così è stato.

Durante il tragitto verso l’aeroporto abbiamo avuto momenti di panico e rischiato di non arrivare a destinazione. Abbiamo visto la gente in fuga correre disperata, persone che morivano davanti ai nostri occhi e il nostro pullman guidato dalla Croce Rossa Internazionale, è stato più volte in pericolo.

Dopo una serie di tentativi falliti, noi, insieme alle famiglie nostre collaboratrici, siamo riuscite a lasciare il Paese e raggiungere l’Italia, dove le autorità statali e le congregazioni religiose hanno spalancato le porte ai profughi di Kabul, come ho potuto raccontare in altre occasioni.

Eppure, nonostante tutto, io sogno di tornare a Kabul. È vero che sono stata in Afghanistan solo due anni, ma il lavoro era così vicino alla gente che mi piacerebbe rientrare per proseguirlo, continuare l’attività e ritrovare le persone rimaste per far sentire loro tutta la nostra vicinanza.

Vi chiederete. Perché hai fatto tutto questo? Da chi hai preso la forza?

Io sono una religiosa, una suora ed ho dato la mia vita per Gesù e per trasmettere a tutti la Buona Notizia del suo Vangelo. Io ho cercato di portare Gesù a loro tramite la mia vita, le mie azioni, con una parola di gioia, di amore, di pace e con un atto di giustizia . . .

Quindi da Gesù ho preso forza e coraggio: non ha forse dato anche Lui la vita per me e per tutti noi?