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Testimonianza alla Veglia Missionaria Diocesana di Roma di Mariarita Loporchio

Testimonianza alla Veglia Missionaria Diocesana di Roma di Mariarita Loporchio

Basilica di San Giovanni in Laterano 21-10-2021

Buonasera a tutti, mi chiamo Mariarita e sono molto felice di poter condividere con voi questa esperienza di vita, che sta coinvolgendo me e mio figlio Emanuele.

Circa un anno fa, in un momento molto faticoso della nostra vita perché mio marito ci aveva lasciato l’anno prima per tornare alla casa del Padre, mio figlio mi chiede di aiutarlo a concretizzare un suo desiderio, quello cioè di contribuire, da cittadino attivo e consapevole, ad accogliere un immigrato per dargli l’opportunità di potersi integrare e migliorare la propria vita.

Ora non vi nascondo che la sua richiesta all’inizio mi ha un po’ spiazzato perché per me non era il momento giusto, o almeno così pensavo. Ma poi riflettendo sulla domanda che spesso mi martellava in testa, e cioè quale altro progetto aveva in serbo per me il Signore, mi sono detta che forse con questa richiesta inaspettata mi stava dicendo qualcosa. In ultimo poi, ripensando anche a quello che io e mio marito avevamo testimoniato con le nostre vite, io capo scout con il servizio e l’accoglienza alla base della mia scelta di vita e l’esperienza condivisa con mio marito di 15 anni di affido di due fratelli, mi sono detta che “la mela non poteva cadere lontano dall’albero” e che forse le nostre scelte dovevano aver raggiunto in qualche modo il suo cuore e quindi in virtù di tutto questo ho accettato.

Mi sono attivata contattando Marta, una ragazza scout con la quale avevo condiviso il percorso scoutistico, che lavora per il progetto Chaire Gynai con le suore Scalabriniane, le quali si occupano di accogliere donne rifugiate politiche con figli, aiutandole nel percorso di integrazione e autonomia.

Questo incontro si è concretizzato con la conoscenza e l’arrivo di Gift e Godsdominion mamma giovanissima con la sua bimba di 4 anni venute dalla Nigeria.

La nostra accoglienza consiste nell’ospitarle nella nostra casa ed aiutarle nel percorso di autonomia e integrazione arrivato alla fase finale.

Quello che possiamo dirvi – e parlo al plurale perché i seguenti contenuti li ho condivisi ed elaborati dopo una riflessione/confronto con mio figlio Emanuele – è che per noi accogliere ha significato:

  • Conoscere la loro cultura
  • Capire quanto il loro vissuto incidesse in modo negativo o positivo nelle relazioni e come supportarle
  • Quali erano i bisogni attesi e quelli che noi potevamo soddisfare per non creare false aspettative

Come lo abbiamo fatto:

  • Abbiamo da subito dialogato molto confrontandoci, ma allo stesso tempo lasciandole spazio senza chiedere o pretendere nulla per darle il giusto tempo per ambientarsi nella nuova situazione
  • In seguito l’abbiamo aiutata nella formazione sia scolastica che di approfondimento della lingua
  • Nel secondo periodo abbiamo lavorato e lavoriamo con lei per creare una rete con il nostro territorio attraverso la conoscenza dei servizi, la tessitura una rete di amicizie, l’inserimento nella scuola della bambina, tutto costruito con confronto continuo e alla pari, scambiandoci sensazioni, perplessità, dubbi, ecc…
  • Non ultimo il lavoro, punto fondamentale per un’integrazione completa, grazie alla sua serietà e al suo impegno Gift è riuscita, supportata da noi, ad avere un buon lavoro che attende la conferma di un tempo indeterminato.

Da tutta questa strada fatta insieme anche con il supporto del progetto Chaire Gynai e della Caritas la nostra riflessione su cosa significa accogliere è arrivata alla seguente conclusione.

Spesso alle persone accolte viene chiesto, indirettamente e forse inconsapevolmente, di mettere in discussione le proprie origini, cambiare le proprie abitudini e adattarsi ai costumi di un nuovo paese, ma non è quello che si pensa debba fare chi accoglie.

La vera difficoltà per noi sta nel riconoscere e accettare che la cultura italiana non è oggettivamente superiore alle altre e di conseguenza se una persona conserva i propri costumi e abitudini è forse perché li reputa migliori o semplicemente fanno parte delle sue radici, dalle quali si è separata per situazioni di pericolo e non per scelta e di conseguenza sono importanti.

Per concludere, quindi, per noi integrare è offrire gli strumenti a chi viene accolto per vivere secondo le nostre leggi, per capire come muoversi nella vita di tutti i giorni e per comprendere i nostri costumi, lasciandoli però liberi di vivere con serenità le loro tradizioni, perché secondo noi la diversità è ricchezza.

Vi ringrazio per averci ascoltato e mi auguro che nostro Signore continui a tracciare la strada da percorrere.